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pseudosfera di Beltrami

Eugenio Beltrami: il costruttore della pseudosfera

Eugenio Beltrami è stato uno dei più grandi matematici italiani del diciannovesimo secolo e un personaggio di grande rilievo anche sul piano internazionale. Docente apprezzato dagli studenti per la chiarezza delle spiegazioni e stimato dai colleghi per l'eleganza e la precisione dei suoi scritti, Beltrami deve la sua fama come geometra soprattutto all'aver individuato nella pseudosfera un primo modello "concreto" per la geometria non euclidea di Lobatschewsky.

Eugenio Beltrami nasce a Cremona il 16 novembre 1835 da Eugenio Beltrami ed Elisa Barozzi. La sua famiglia vanta elevate tradizioni artistiche. La madre è un'apprezzata musicista nonché compositrice di opere poetiche e musicali mentre il nonno paterno è incisore di pietre dure e autore di cammei. Anche il padre è un artista, apprezzato soprattutto come miniaturista, ma è costretto a lasciare la famiglia per rifugiarsi in Francia dopo aver preso parte ai moti del 1848.
In questo clima, Beltrami viene educato fin da piccolo all'amore per la patria e per l'arte. Frequenta le scuole elementari, il ginnasio e il liceo a Cremona, fatta eccezione per l'anno scolastico 1848-49, quando frequenta la quarta ginnasio a Venezia. Nel 1853 si iscrive alla Facoltà matematica dell'Università di Pavia, dove ha come insegnante Francesco Brioschi (1824-1897). Nello stesso anno entra nel Collegio Ghislieri, da cui viene espulso insieme ad altri studenti nel febbraio del 1855 con l'accusa di aver promosso disordini contro il Rettore, l'abate Antonio Leonardi.
La perdita del posto al Collegio Ghislieri contribuisce a peggiorare la situazione economica della famiglia, che già si è aggravata in seguito alla morte del nonno. Le ristrettezze economiche costringono Beltrami a interrompere gli studi universitari nel novembre del 1856, poco prima di potersi laureare, e ad accettare un lavoro a Verona nell'amministrazione delle strade ferrate del Lombardo-Veneto come segretario particolare del direttore Diday. Nel gennaio del 1859 viene licenziato per motivi politici, ma pochi mesi dopo riottiene il posto in seguito alla liberazione della Lombardia dopo la seconda guerra di indipendenza e al conseguente trasferimento degli uffici di Diday a Milano. Ed è in questo periodo che si riavvicina agli studi matematici.
A Milano, infatti, ritrova Francesco Brioschi ed entra in contatto con alcuni giovani matematici ed insegnanti destinati a diventare personaggi importanti del panorama scientifico italiano: Luigi Cremona (1830-1903), Giuseppe Bardelli (1837-1908) e Felice Casorati (1835-1890). Stanco di un posto di lavoro di tipo amministrativo, Beltrami cerca un impiego nell'insegnamento ma gli è d'ostacolo quella mancanza di una laurea che già gli aveva fatto fallire per tre volte il concorso per entrare nel Genio militare in qualità di sottotenente. Tuttavia resta deciso a intraprendere la carriera d'insegnante ed è disposto anche a trasferirsi per ottenere un posto in un liceo. Brioschi e Cremona, convinti del suo valore e dell'importanza del contributo che egli avrebbe potuto dare alla ricerca e al sistema di formazione nazionale, si danno molto da fare per consentirgli di entrare nell'insegnamento.
Nel 1861, mentre ancora lavora presso gli uffici delle ferrovie, pubblica due memorie di geometria analitica sugli Annali di Matematica: si tratta di Intorno ad alcuni sistemi di curve piane e Sulla teoria delle sviluppoidi e delle sviluppanti. È anche grazie a queste pubblicazioni che il 18 ottobre 1862 è nominato professore straordinario di algebra complementare e di geometria analitica all'Università di Bologna, nomina che lo fa entrare di diritto nell'élite scientifica italiana. A Bologna ritrova l'amico Luigi Cremona, che è stato chiamato nel 1860 a ricoprire qui la cattedra di geometria superiore, istituita appositamente per lui, e incontra Domenico Chelini (1802-1878), professore di meccanica e idraulica. Tra i tre nasce subito una profonda stima, che non tarda a diventare sincera amicizia. La presenza contemporanea di Chelini, Cremona e Beltrami nella stessa università fa di Bologna una delle più prestigiose università italiane per l'insegnamento della matematica.
Beltrami resta a Bologna solo per pochi mesi. Infatti gli arriva un invito al quale è davvero difficile dire di no. Enrico Betti (1823-1892), uno dei grandi nomi della matematica italiana del periodo, gli propone infatti di passare, come professore ordinario, sulla cattedra di geodesia teorica (oggi la chiameremmo probabilmente geometria differenziale) dell'Università di Pisa. Inizialmente Beltrami non vuole accettare perché la materia gli è nuova e perché preferisce proseguire i suoi studi di geometria e analisi, sicuramente più teorici e che lasciano un più ampio campo d'indagine, ma le esortazioni di Cremona lo convincono ad accettare, alla sola condizione di avere un trimestre di licenza da poter trascorrere a Milano per degli studi preparatori presso l'Osservatorio Astronomico di Brera, sotto la direzione dell'astronomo Giovanni Schiaparelli (1835-1910).
A Pisa stringe amicizia con Enrico Betti e ha più volte occasione di incontrare Bernhard Riemann (1826-1866), il grande matematico tedesco che si stabilisce nella città toscana per motivi di salute. I colloqui con questi matematici di fama internazionale, e la successiva corrispondenza con Betti, hanno una notevole influenza sull'indirizzo dei suoi studi anche negli anni a venire.
Rimane a Pisa per tre anni, prima di chiedere lui stesso di essere trasferito. Nel settembre 1866 gli viene assegnata la cattedra di meccanica razionale all'Università di Bologna. Beltrami è molto felice di poterci tornare e soprattutto di potersi occupare di meccanica razionale, disciplina verso la quale si sente più adatto rispetto alla geodesia. Trascorre qui diversi anni sereni e nel 1868 sposa Amalia Pedrocchi, una giovane ragazza veneziana che conosce da molti anni e la cui famiglia è da tempo in buoni rapporti con la sua.
Nel 1873 viene chiamato una prima volta a Roma a ricoprire ancora la cattedra di meccanica razionale come professore ordinario; in aggiunta, gli viene affidato un corso di analisi superiore. Nel 1876 passa all'Università di Pavia, dove occupa la cattedra di fisica matematica con l'incarico di un corso di meccanica superiore e dove trascorre un lungo periodo tranquillo e fecondo dal punto di vista lavorativo durante il quale la sua casa diviene un centro d'incontro per colleghi, studenti ed amici. Tuttavia nel settembre 1890 accetta i ripetuti inviti a tornare all'Università di Roma, dove continua a insegnare fino al momento della morte, il 18 febbraio 1900.

Tutta la vita di Beltrami è occupata soprattutto dal lavoro scientifico. Per non essere distratto dai suoi studi e per potervi dedicare tutto il tempo che gli avanza dall'insegnamento, non accetta mai di far parte di corpi amministrativi dello stato né di rivestire ruoli di Preside di facoltà o Rettore di università, con l'unica eccezione rappresentata dalla partecipazione al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, dove entra nel 1886 in seguito ad una votazione plebiscitaria da parte dei colleghi. A differenza di altri matematici, anche amici come Cremona e Brioschi, non si impegna sul fronte politico o di organizzatore culturale in alcun modo.
Cremona definisce Beltrami un self-made man per indicare come egli non sia stato allievo né di una determinata scuola, né di alcun maestro. Per sua stessa ammissione, Beltrami ha seguito superficialmente gli studi universitari e la sua educazione scientifica si deve tutta agli studi intrapresi negli anni in cui lavora per le ferrovie. Ciononostante, la sua produzione scientifica raggiunge la consistenza di ben centootto scritti, tra note e memorie, oltre che discorsi e commemorazioni vari. Con le sue opere Beltrami abbraccia praticamente tutti gli aspetti della matematica e della fisica teorica dell'epoca, con risultati di grande rilievo: la geometria analitica, la geometria infinitesimale, la geometria differenziale, l'analisi pura, la meccanica dei fluidi, la meccanica generale, la teoria del potenziale, l'elettromagnetismo e la teoria di Maxwell, l'elasticità, la propagazione del calore e l'acustica. Praticamente tutte le ricerche di Beltrami sono motivate da problemi fisici, poiché a suo avviso la matematica è ricerca delle leggi della natura. Nei suoi lavori geometrici è evidente la consapevolezza delle motivazioni meccaniche e fisiche che sono sottese ai problemi trattati (ad esempio, il fatto che la determinazione del moto per inerzia di un punto vincolato a muoversi su una superficie liscia equivalga a cercare le geodetiche di tale superficie) così come nelle poche pubblicazioni strettamente analitiche si intravedono immediatamente le applicazioni a cui mirano, anzi si può dire che siano proprio queste a reggere e a promuovere tali ricerche.

Quanto alle geometrie non euclidee, l’interesse di Beltrami nei loro confronti nasce in modo del tutto naturale nell'estate del 1867, come proseguimento dei suoi studi di geodesia e in particolare delle questioni relative alla maniera di rappresentare una superficie in modo che le sue geodetiche siano linee rette. Come si legge in una lettera del 1872, l'origine di tutto è stata un'osservazione "buttata là da Lagrange in una delle sue Memorie sulle carte geografiche".
Le opere in cui Beltrami tratta l’argomento sono quattro. Le prime, e più importanti, sono Saggio di interpretazione della geometria non-euclidea e Teoria fondamentale degli spazii di curvatura costante, risalenti entrambe al 1868. In queste si tratta ripettivamente la planimetria e la stereometria non euclidea, utilizzando in modo massiccio le tecniche da poco introdotte da Gauss e Riemann, oggi tipiche della geometria differenziale. Beltrami non è interessato a mettere ordine all'apparato assiomatico della dottrina di Lobatschewsky, che secondo lui sarebbe comunque da rivedere, ma ne ricerca un substrato reale, anche per mettere a tacere chi definisce le geometrie non euclidee "geometrie del soprasensibile" o "da manicomio". È proprio questo l'aspetto innovativo: Beltrami è il primo a scoprire un ambiente in cui la geometria non euclidea trova una realizzazione, e questo ambiente è proprio la pseudosfera. Ma nelle sue ricerche va ancora più in là, costruendo, tra il 1869 e il 1872, dei veri e propri esemplari in carta di pseudosfera. Il suo scopo non è quello di confermare o confutare i risultati ottenuti, né vuole essere un esercizio di stile o una realizzazione a scopi espositivi. Egli vuole toccare con mano e vedere con i propri occhi un'immagine più o meno approssimata della superficie pseudosferica nella realtà, per poter avere dei riscontri visivi di alcune proprietà e magari intravederne delle altre. Di questi modelli, dalla corrispondenza privata si evince che ne costruisce almeno tre, ne è rimasto solo uno, conservato presso l'Istituto di Matematica dell'Università di Pavia.
Gli altri due scritti che parlano di geometria non euclidea risalgono al 1872: Teorema di geometria pseudo sferica e Sulla supercie di rotazione che serve di tipo alle superci pseudosferiche. A questi va aggiunto il saggio Un precursore italiano di Legendre e Lobatschewsky, pubblicato nel 1889, che è però un'analisi dell'opera del 1733 di Girolamo Saccheri "Euclides ab omni naevo vindicatus, sive conatus geometricus quo stabiliuntur prima ipsa universae Geometriae principia", ed è l'unica eccezione al fatto che dopo il 1872 Beltrami pubblica solo lavori di fisica matematica.
Sapendo che Beltrami vede la matematica come strumento per conoscere lo spazio in cui viviamo e che il fine ultimo dei suoi studi è sempre quello di far chiarezza su uno o più aspetti della realtà, verrebbe spontaneo chiedersi perché Beltrami decida di studiare la geometria non euclidea pur non conoscendo ancora una situazione fisica in cui le leggi debbano obbedirle. La risposta la dà lo stesso Beltrami in una lettera scritta a Domenico Chelini. Si tratta di riflessioni generali sull'utilità di una teoria, ma ben si prestano al caso particolare delle geometrie non euclidee:
"Mi pare che nelle scienze testè nominate [le scienze astratte, NdR] l'accordo della teoria colla realtà non sia una condizione sine qua non dell'esistenza della teoria stessa. La condizione sine qua non è che i vari punti della teoria, primordiali o dedotti, siano in perfetto accordo fra loro, e non contrastino alle leggi del reale quando si fanno quelle ipotesi speciali che determinano il trapasso dalla generalità puramente ideale alla natura reale delle cose. Quando un tale accordo ha luogo, la teoria ha una esistenza indiscutibile, la questione si riduce a sapere se una cosiffatta astrazione sia utile od inutile. Se è utile non vedo ragione di dar l'ostracismo alla teoria, finché non se ne sia trovata un'altra che, vivendo nei limiti delle relazioni reali conduce ai medesimi risultati. Così finché Riemann si limitò ad edificare un cumulo di sottili e complicate argomentazioni sul concetto inusitato delle funzioni di una variabile complessa, io concepisco benissimo che ci potessero essere dei matematici i quali, anche senza trovar nulla da ridire sul processo logico, diffidassero della portata di questo nuovo concetto e dell'opportunità di farne oggetto di separata e diligente investigazione. Ma quando il medesimo Riemann, da queste medesime sue vedute fece uscire quasi di getto la teoria fondamentale delle funzioni Abeliane, rovesciando a un tratto quegli ostacoli che avevano arrestato lo stesso Abel e Jacobi e tutta la scuola che direi analitica (nel senso euleriano), a me pare che allo studioso imparziale non resti onestamente altra alternativa che questa: o di ammirare, o di far meglio."
Anche se dopo il 1873 non si occuperà più dei principi della geometria, non abbandonerà mai completamente l'argomento, cercando di estendere alcuni risultati e alcune teorie della fisica matematica validi in ambito euclideo agli spazi non euclidei.

 

 

 

di Elisa Colombo
  04/06/2012 , 10:32:00 ,   , pseudosfera di Beltrami